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Bellini e la sfida dell’invenzione

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 26, 2008


A sessant’anni dall’ultima monografica a Roma una grande mostra dedicata al maestro veneto

di Simona Maggiorelli

«Prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco», così in una pagina del Viatico Roberto Longhi ripercorreva l’inquieta parabola della pittura di Giovanni Bellini, mossa dal “rodimento” di una ricerca continua dell’invenzione nel confronto con i grandi della sua epoca. Un confronto – come quando nel 1475 arrivò a Venezia Antonello da Messina – che non mancò di risultare frustrante. Ma intanto nel gioco di emulazione della Crocifissione di Anversa del pittore siciliano Bellini creò forse il suo capolavoro assoluto: La Pietà di Brera, riuscendo a dare alla vena fiamminga e inquieta del Cristo di Antonello una nuova luce nei colori e uno sguardo aperto sul paesaggio. Fatto è che nell’arte veneta, prima ancora che altrove, si era rotto il culto delle immagini provenienti dall’Oriente, icone che nella loro pretesa di essere antichissimi ritratti autentici di santi, imponevano una cifra di immutabilità. Così se il padre Jacopo Bellini era stato un pittore di icone gotiche e il fratello più grande, Gentile, era l’abile ritrattista che Maometto II aveva invitato in Turchia (fu il primo occidentale a ritrarre l’Oriente musulmano) Giovanni – che era nato nel 1431 e morì nel 1516 – non potè più adagiarsi in una identità di bravo e stimato ritrattista. Nell’età di Leonardo da Vinci, il passaggio era epocale: i grandi pittori avevano perso lo status di artigiano per assumere quello di artista.

Un pittore di Urbino nato cinquant’anni dopo Giovanni Bellini sarebbe stato addirittura “il divino Raffaello”. Fu così che, come ci racconta la mostra Giovanni Bellini allestita nelle sale delle Scuderie del Quirinale, il pittore veneto dovette confrontarsi con il nascente mito dell’artista creatore. Mentre i dipinti su tavola, sempre più richiesti dai collezionisti privati, finalmente permettevano qualche libertà dal rigido canone imposto dalla committenza ecclesiastica. Mauro Lucco e Giovanni C.F. Villa, i due curatori della monografica che si apre il 30 settembre a Roma  alle Scuderie del Quirinale (a sessant’anni dalla storica mostra di Palazzo Ducale a Venezia) sono riusciti a riportarne in Italia alcuni esempi davvero straordinari, fra cui alcuni ritratti. Ma fra le sessanta opere di Bellini in mostra, che coprono i tre quarti della produzione certa del maestro veneziano, ci sono anche grandi e fragilissime pale d’altare, come il Battesimo di Cristo dipinto per la chiesa di Santa Corona a Vicenza e la Pala di Pesaro. E accanto alle Madonne illuminate e rese più carnali dal brillante colorismo veneto, accanto alla serie dei crocefissi spuntano allegorie e mitologie, fra le quali la Continenza di Scipione, un fregio di tre metri di cui la National Gallery di Washington non aveva mai concesso il prestito.

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